E' stato tutto un sogno
- Marco Iannelli
- Feb 7, 2016
- 4 min read

Per Memy l’occasione di tornare saltuariamente a casa rappresentava, più d’ogni altra cosa, un ponte verso la serenità scandita dal calore familiare.
Ogni mese, appena se ne presentava l’occasione, chiudeva la casa in Baviera (che ancora non riusciva a sentire del tutto sua) e, facendosi emotivamente carico di 1000 km e più di viaggio in auto, rientrava a casa per appagare la personale esigenza di vivere, una intensa, seppur temporanea quotidianità, con i suoi genitori, la sorella più piccola, il suo adorato cagnolino.
La decisione di partire per la Baviera era stata una scelta sofferta, ma ritenuta indispensabile.
Da tutti.
Aveva rappresentato per lei una svolta di vita, comune peraltro a tanti giovani che, pur preparati, in Italia non trovano dignitose opportunità di lavoro. Ne aveva parlato a lungo con la sua ristretta cerchia di persone care, non tanto per trovare una qualche alternativa che, in cuor suo, sapevanon esserci, quanto per condividere uno stato d’animo, una intimità dolente, sollecitata oltre ogni ragionevole limite, da una opzione irresolubile.
Il materiale momento del periodico rientro a casa era scandito da una serie di stati emozionali che si venivano a creare, quasi magicamente, tra lei ed il suo compagno che l’aveva seguita in questa avventura e tra i rispettivi familiari di appartenenza che di lì a poco li avrebbero finalmente riabbracciati.
Stabilita alla fine la data, si concretizzavano una serie di aspettative così intense da ambo i lati che, superando qualunque impedimento dettato dalla oggettiva lontananza geografica, davano luogo ad una sorta di tunnel emozionale che, quasi dilatando fisiche entità spazio/temporali, riusciva a porre in comunione le loro coscienze, i loro affetti, le loro aspettative, prim’ancora che si definisse materialmente il ricongiungimento familiare.
Questa particolare situazione faceva sì, che l’enorme tragitto da compiere in auto per il rientro a casa fosse vissuto dai ragazzi incoscientemente, in una sorta di sospensione emotiva, quasi trattenendo il fiato dei sentimenti, che aveva la capacità pressoché di anestetizzare l’incedere dello ore riconducendo archi temporali dilatati ad istanti.
Il virtuale conto alla rovescia partiva, quindi, nel momento in cui si ponevano in auto per affrontare il lungo viaggio che li avrebbe condotti alla città natale.
Alla guida dell’auto non si era posta Memy, ma come quasi sempre succedeva, in una sorta di senso di protezione, avrebbe pilotato, ricondotto a casa, le loro impellenti esigenze di famiglie il compagno di lei.
Come successo altre volte, nelle lunghe, interminabili, circoscritte ore trascorse in auto, alla fine del viaggio l’ansia dell’arrivo lentamente si stava affievolendo per lasciare, in senso inversamente proporzionale, campo libero ad uno stato liberatorio di torpore che, tramutandosi lentamente in sonno, stava avvolgendo, prendendone possesso, quasi con materno abbraccio, il corpo della ragazza.
All’arrivo sotto casa, Memy era giunta completamente avvolta, come si suol dire, dalle braccia di Morfeo al punto che il compagno, completando ad ogni latitudine l’opera di protettiva riconduzione a casa, stava effettuando le manovre finali di parcheggio dell’auto con una innaturale delicatezza, in “punta di piedi”, quasi trattenendo il fiato per darle modo di riprendersi con dolcezza, per non farla risvegliare di soprassalto.
Pur con ogni consentita cautela, alla fine, quasi vi fossero stati gli occhi dell’anima a vigilare sulla stato finale del viaggio, appena iniziata la retromarcia per infilarsi nel parcheggio la ragazza, stiracchiandosi come solo i gatti sanno fare, lentamente aveva ripreso coscienza con la realtà.
Ritualmente, come per il passato, anche questa volta stava accadendo tutto pressappoco così, solo che al risveglio la ragazza aveva avvertito un senso di irregolarità, di differenza.
Ripreso a piene mani il livello cognitivo della sua mente, dischiusi gli occhi sul suo compagno aveva chiesto:
“Quante ore ho dormito ?”
Pur se non ancora del tutto lucida, aveva notato che la domanda, in tutta la sua eloquente banalità, aveva suscitato nello sguardo del suo compagno una espressione di disorientamento. Al che, senza attendere oltre la risposta che naturalmente sarebbe giunta di lì a pochi attimi, aveva avanzato una nuova domanda: “hai ricordato di inserire l’antifurto a casa in Baviera”.
L’ulteriore interlocuzione aveva sortito, e se ne era subito accorta con una punta di preoccupazione, l’effetto di rafforzare quel senso di stupore nello sguardo del suo estemporaneo autista. Questi, quasi a voler dirimere una volta per tutte una questione che inspiegabilmente proseguiva da troppo tempo su di un irrituale, imbarazzante binario, aveva sbrigativamente chiesto: “antifurto della casa in Baviera, ma di cosa parli ? Noi non abbiamo alcuna casa in Baviera, e poi sarà una mezz’oretta che dormi, è dall’uscita del cinema che hai preso sonno …”.
Nel sentire questa risposta, Memy aveva immediatamente provato un senso di conforto per ciò che, negli ultimi istanti, aveva finalmente compreso. L’avventura di lavoro all’estero, la loro nuova casetta in stile bavarese ai margini del boschetto dove aveva abitato negli ultimi mesi, il viaggio di ritorno dalla Germania a casa per le feste, era semplicemente tutto un sogno.
Nulla di tutto quello che credeva di ricordare al risveglio era reale, era stato solo un sogno, un salvifico sogno.
Alla fine uscendo dall’auto, imboccando il portone di casa, ancora tra veglia e sonno, aveva notato che le chiavi dell’auto erano agganciate ad uno strano portachiavi in metallo brunito, con la figura di una baita in stile bavarese, e con la scritta “Rosenheim”.
Questo ultimo particolare, lasciandola stranita, l’aveva fatta riflettere sul fatto che i sogni, in fondo, sono la proiezione delle proprie aspettative e quando sono molto intensi, ed alla fine sfumano via, qualche inspiegabile propaggine la lasciano sempre nella vita reale.
di Marco Iannelli
P.S. Questa storia è dedicata a Giancarlo Cosentino ed a sua moglie Rosaria Biglietti, due belle persone, e va letta, con animo sospeso nel tempo, con un piede nel reale ed un piede nell’immaginario, ricordando che le favole, quasi sempre, hanno una qualche recondita indole di verità. Ed è proprio questo particolare, inatteso, concreto, aspetto dell’irreale che, messo intensamente a fattor comune nella quotidiana vita delle persone, ha modo di coniugare, consolidare, congiungere affettivamente i destini di intere famiglie dando, alla fine, un senso all’esistenza.
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