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La tecnologia che ci allontana

  • di Marco Iannelli
  • Mar 6, 2016
  • 4 min read

E’ una faccenda che osservo spesso e che, in fondo, mi mette anche un po’ di tristezza.


I nostri ragazzi, le mie stesse figlie, dispongono di sistemi di comunicazione sofisticatissimi (pensate solo per un attimo ad un Ipad, ad uno smartphone, ecc.) aggeggi che hanno la potenzialità di proiettare il loro immaginario nell’infinito della rete internet, di fargli fruire contenuti multimediali inimmaginabili, metterli in comunicazione con cittadini di altri continenti.


Il tutto con una velocità ed una semplicità disarmanti: basta un pizzico di volontà, un click ed il gioco è fatto: si è in contatto in tempo reale con un australiano dall’altra parte del mondo.


Nonostante ciò però, se ci pensate un attimo, questi ragazzi sono (sentono) di essere profondamente soli.


Sì, è vero un Iphone di ultima generazione ti mette in contatto in un secondo con chi vuoi e dall’altra parte dell’emisfero, ma per quanto possa essere efficace ed efficiente questo tipo di tecnologia questi ragazzi rimangono, appaiono, sempre innaturalmente isolati.


Il limite naturale di questi “accrocchi” - per riprendere un termine usato da mio nonno allorquando la tv soppiantò, all’improvviso nella sua vita, con sommo disappunto e dispiacere, la radio a valvole - è dato dal fatto che alla fine praticamente allentano, rendono pressoché assenti, le più elementari forme di contatto umano.


Per quanto tu possa essere dotato di tecnologia, alla fine della fiera, pur dialogando, chattando, twittando, sei del tutto solo a rigirarti tra le mani una affare dal costo di 700 euro e non godi di alcuna condizione di scambio umano ravvicinato.


Una volta si parlava (ricordo E.T. quello di “telefono casa …”) di incontri ravvicinati del terzo tipo per indicare un contatto de visu con una entità extraterrestre.


Oggi, con questa dilagante e diffusa tecnologia, si può a ragion veduta parlare di contatto del primo tipo, ma a dispetto delle gerarchie delle scale aritmetiche (terzo viene dopo di primo) credo sia molto più facile che si avveri un incontro ravvicinato di terzo tipo (con un extraterrestre piovuto giù da Marte), piuttosto che un incontro ravvicinato di primo tipo tra due adolescenti per divagare, guardandosi negli occhi, di una alba o di un tramonto.


La cosa più strana, che in tutto questo andazzo mi colpisce di più, è che i nostri ragazzi (o adolescenti che dir si voglia) sono venuti su, cresciuti, maturati (un po’ come i fichi d’india ritornando al frasario di mio nonno) da un lato, in totale assenza di contatti umani e, dall’altro, in assoluta soccombente gestione della loro emotività, e degli scambi relazionali, da parte della tecnologia “di consumo” (come si usa dire) messa a profusione nella loro disponibilità.


Ciò ha fatto sì che essi, allo stato delle cose, risultino del tutto impreparati, e forse anche imbarazzati, a gestire l’interrelazione con i propri simili al di fuori delle ordinarie piattaforme digitali ove sono quotidianamente calati (leggi meglio: confinati) ed ove si muovono con inusitata scioltezza (vedi: facebook, twitter, Google+, ecc.).


Una riprova di quanto vi sto dicendo l’ho avuta qualche giorno fa allorquando il figlio di un mio caro amico si è trovato in un salotto, contesto molto poco digitale, a diretto contatto con mia figlia. I due “alieni” tredicenni, pur conoscendosi e frequentandosi su facebook, in chat, e quant’altro, all’atto in cui si sono trovati vicini, ed hanno avuto la possibilità di scambiare quattro sane chiacchiere “vecchia maniera” lontano dai rispettivi computer, si sono "annusati" e poi del tutto ignorati.


A questo punto, non resta altro da dire se non che il divario generazionale sussistente fra noi e loro si è acuito e, nel futuro, si acuirà sempre di più.


Se è vero che tra loro, riparati dagli schermi dei computer, in qualche modo continueranno a comunicare, con noi che siamo della vecchia generazione sarà sempre più difficile intavolare una qualche forma di dialogo.


Ciò da un lato, per gli ovvi limiti legati all’uso della tecnologia da parte dei cinquantenni a salire (io, per quanto di mio, cerco disperatamente di non perdere il passo e di non farmi "seminare" dalle mie figlie strada facendo), dall’altro perché, faccia a faccia, il dialogo con gli adolescenti è uno sfiancante esercizio unilaterale (indipendentemente dall'età dell'interlocutore).


L’apoteosi della esistenza del divario generazionale è sottolineata da un dialogo (pareva davvero tra sordi...) a cui ho assistito l’altra sera in tabaccheria mentre ero intento a comprare il mio buon pacchetto di desueti sigari toscani.


Un adolescente - entrato per acquistare uno di quei biglietti di auguri digitali (di quelli che quando li apri suonano un motivetto accompagnato dal luccichio dei led) - ha quindi chiesto, timido, all'anziana tabaccaia: “signora ha mica uno di quei biglietti digitali ?”.


Al che la signora, non avendo affatto compreso "l'evolutissimo" oggetto, rivolgendosi al marito (al pari anziano come lei), e cercando nella sua personale dotazione di vocaboli una parola, a lei nota, che si avvicinasse in qualche modo foneticamente allo sconosciuto termine "digitale", ha esclamato un pò imbarazzata: “Pietro, vedi un po’ cosa vuole questo santo ragazzo, credo sia roba da uomini, il giovanotto forse vuole un tipo di carta da lettera che ha a che fare, ma non capisco in che modo, con i genitali...”.


di Marco Iannelli







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