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Piccole favole crescono

  • Writer: Marco Iannelli
    Marco Iannelli
  • Feb 7, 2016
  • 5 min read

La serata era trascorsa niente male. Buona compagnia, il ristorantino in fondo era caratteristico ed accattivante per quel che bastava, l'ora tarda era giunta velocemente il che, ragionevolmente, stava a significare che ci si era divertiti abbastanza.

Ma ciò nonostante viaggiava sulla strada per il rientro a casa con una sensazione di oppressione, di angoscia.

Innaturale.


In più d'una curva il freddo fascio di luce dei fanali di un'auto lo aveva bruscamente riportato alla realtà. Per tutto il tragitto, inconsciamente, aveva provato, senza riuscirci, a trovare una ragionevole collocazione, nella personale dotazione delle proprie caselle emotive, a tale ingiustificato stato d'animo. Durante il percorso in salita che lo avrebbe portato a casa, tra un pensiero e l'altro, aveva contato ogni singola curva. Era un gioco mentale che faceva ricorrentemente con un pizzico di accanita morbosità. Quasi un modo, durante il rientro, per ancorare la propria mente alla realtà in momenti in cui la spossatezzapoteva prendere il sopravvento.


La sagoma della villa che si stagliava improvvisamente fumosa al termine dell'ultima curva lo aveva colto impreparato. Errori di valutazione, stanchezza, disattenzione, ma avrebbe giurato che ancora una curva mancava all'appello. Ma in fondo si sa, anche i giochi più collaudati qualche volta possono non riuscire.


Uscito dall'auto, il ritmico rumore generato dal calpestio della ghiaia aveva prodotto in lui conforto. Era ormai questione di istanti e le sue membra stanche avrebbero potuto assaporare il ruvido abbraccio delle lenzuola fresche di bucato. Ciò nonostante, quell'oppressione aveva continuamente occupato inconsciamente la sua mente fino ad allora e forse giustificava le mosse impersonali ed automatiche con le quali, riponendo il contenuto delle tasche sul comodino, decretava ufficialmente la fine della giornata. Aveva chiuso l'interruttore della stanza e percorso al buio i pochi passi che lo separavano dal letto inciampando, come sempre, nelle proprie scarpe e nel vecchio baule sistemato ai piedi della spalliera. Erano eventi che si verificavano con oscitante ricorrenza ai quali avrebbe potuto agevolmente porre rimedio collocando un banale applique sul comodino. Soluzione ad un problema la cui impellenza era inversamente proporzionale all'ora solare; come ogni mattino la notte, scemando, avrebbe portato via con sé definitivamente ogni differente soluzione arredativa logicamente prospettata la sera prima.


L'interno della casa avvolgeva l'unico ospite con una asettica e fredda atmosfera. Più volte aveva giustificato a sé stesso tale condizione con l'ampiezza della villa, ma nel proprio intimo, pur non riuscendo ad ammetterlo, sapeva benissimo che ciò era dovuto a quella costante superficialità ed approssimazione che accompagnava amorevolmente la gestione ordinaria della sua vita. Sarebbe bastato, semplicemente, programmare in modo più razionale il sistema di riscaldamento per cancellare, definitivamente, quello condizione di inumanità trasmessa, con violenza, dalla sua dimora.


Forse, per questo, introdottosi nel letto aveva provato a guadagnare con le gambe, da una iniziale, innaturale posizione fetale, pochi centimetri di spazio per volta sottraendoli, lentamente, al gelo antagonista delle lenzuola. Il sonno era sopraggiunto, quando ancora non aveva completato tale dolorosa opera, insinuandosi tra le pieghe, pur senza sconfiggerlo, di quell'insolito stato d'animo che lo aveva attanagliato fino ad allora.


Nel buio della stanza aveva riaperto improvvisamente gli occhi cercando qualche segno chiarificatore che avesse potuto indicargli l'entità del lasso di tempo trascorso dalle ultime, rituali operazioni compiute prima di prender sonno e l'attuale condizione.


Durante tale attività la propria attenzione era stata improvvisamente strattonata da una inaspettata, dolorosa vacuità che avvolgeva il suo corpo e che aveva sostituito, pur senza alcun apparente giovamento, l'angoscia che precedentemente aveva accolto, in maniera distaccata, l'arrivo del sonno. La decisione di porre fine a questo inaccogliente stato d'animo era sopraggiunta, probabilmente, in un momento in cui le membra non erano del tutto disposte a fornire adeguato supporto ad ogni buon proponimento. Uscito dalla stanza si era trovato di fronte il lungo corridoio che lo separava dalla cucina. Era uno spazio al secondo piano della casa a lui familiare per averci trascorso gran parte dell'infanzia.


In questa fascia di territorio ove lui, da bambino, si sentiva padrone si erano animate le fantasie di adolescente prendendo corpo in solitari e solari giochi sempre accompagnati da una innocente limitazione dovuta, forse, ai numerosi quadri che, con presenza incombente, tappezzavano la parete e che ritraevano, in pose severe, i suoi avi. Un ampio specchio posto al centro del longilineo percorso delimitava un'immaginaria linea di confine oltre la quale il crescente stato di conforto, tipico degli adolescenti, avrebbe man mano preso corpo fino a raggiungere un punto apicale nel momento in cui, oltrepassata la soglia della cucina, si sarebbe improvvisamente trovato in un territorio a lui ospitale e si sarebbe tuffato tra le pieghe della gonna della mamma. Ora, come allora, aveva percorso il lungo corridoio accompagnato dai propri ricordi dell'infanzia illuminati da una tenue e vaporosa penombra che si faceva spazio tra le geometriche caselle di un ampio lucernario.


Ancora avvolto dal sonno, con passo incerto ed irregolare, era transitato davanti al familiare specchio avvertendo una condizione di inusualità. Era rimasto stranamente attonito; con i piedi nudi piantati nella elegante moquette, vissuta dal lento incedere del tempo, avvertiva qualcosa di strano.


Si trovava ora al centro della seconda metà del corridoio: basito. L'ampio specchio lasciato alle sue spalle formava una virtuale parete di un contenitore all'interno del quale i suoi pensieri si dibattevano, cercando concretezza, contrastati da una spiacevole sensazione di sonno che ancora rovistava nel predomino nella notte. L'immobilità in quella condizione era scandita da un silenzio irreale.


Doveva uscirne.


Compiendo pochi ultimi passi aveva varcato la soglia della cucina trovandosi, affannato, a bere acqua da un inadeguato bicchiere. Pur senza trovare apparente ristoro era ritornato indietro.


Transitando nuovamente davanti allo specchio aveva riavvertito, come una lama sottile, quello stato di estraneità immediatamente soppiantato da un crescente sentimento di preoccupazione. La decisione di ritornare sui suoi passi era stata presa in modo meccanico, quasi che il corpo rifiutasse ogni diversa opzione. Si trovava ora piantato, a testa bassa, dinnanzi allo specchio. Come un lampo, negli istanti successivi, la sua mente aveva ripercorso, con dolore, gli ultimi eventi della sua vita ed ora si trovava, senza alcuna apparente spiegazione dinnanzi allo specchio che arbitrariamente, come superfice d'acqua imperturbata, non rifletteva più la sua immagine. Con passo affannato, scandito da un oscuro presentimento, aveva varcato la soglia della camera da letto rimanendo immobile, al buio, per un interminabile istante.


Nel cono d'ombra, stagliato ormai da un'alba acerba, aveva intravisto sul suo letto una oscura sagoma. Era il suo corpo inanimato ormai giunto, da qualche ora, al termine del percorso della vita.


di Marco Iannelli







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