La poltrona in soffitta
- Marco Iannelli
- Feb 7, 2016
- 4 min read

“In fondo se siamo sposati da tanti anni, se ho resistito fino ad oggi, un qualche motivo ci deve pur essere.
Tommaso, nel corso della giornata, se la ripeteva spesso questa considerazione; quasi a volersi convincere, consolare, ogni qualvolta si trovava a doversi confrontare con quella “vecchia canaglia” di sua moglie (come affettuosamente usava apostrofarla quando ne parlava con gli amici).
Marta era una donnona sufficientemente burbera, tanto intrigante (termine assolutamente da non interpretare in termini di sensualità ...), estremamente bizzosa, ma in generale per niente cattiva.
A modo suo voleva molto bene a suo marito, unico punto di riferimento familiare da quando il loro unico figlio Lorenzo era “emigrato in America” (come soleva dire, in modo convinto e sofferto alle amiche) per svolgere la sua attività lavorativa di microbiologo molecolare.
Se ne prendeva cura, in particolare da quando era stato stabilmente circoscritto in casa con il ruolo oramai più che rodato di pensionato dell'INPS, con una passione, una costanza, una incidenza, che a volte travalicavacon tutti e due i piedi nella pedanteria, nell’invadenza, nella petulanza.
Lui, dal canto suo, comprendeva che quella donna - da sempre casalinga, in età avanzata e, per di più, in acclamato sovrappeso – oramai non aveva altro scopo nella vita che prendersi cura della sua persona per cui, anche a fronte di continue e ripetute invasioni “a gamba tesa” nella sua vita domestica, con piglio stoico e misurato spirito di sopportazione, metabolizzava in modo esemplare ogni sua femminile iniziativa rivolta nei suoi confronti.
La convivenza in casa tra i due, ormai da tempo, era un continuo, affettuoso, ma ciò non di meno, vivo battibecco. Si badi bene: non è che i due litigassero per mancanza di accordo; semplicemente il loro rapporto matrimoniale, forzatamente casalingo, nel tempo, era dinamicamente evoluto approdando, alla fine, su sponde di passionale, accanito confronto sulle cose spicciole della quotidianità domestica.
La scelta di cosa mangiare a cena, l’individuazione del programma televisivo da guardare la sera assieme, piuttosto che l’ordine della casa (altra questione spigolosissima) divenivano, per il singolare, bizzoso carattere della donna, motivi di sentita discussione.
Tommaso, per provare a sopravvivere a questo stato di cose, nella soffitta di casa si era ritagliato un personalissimo “angolo di paradiso” (come usava dire). In questa parte riparata della casa, dove normalmente trovavano ricovero gli oggetti non più usati, le cose vecchie (fra queste, forse, ci si poneva lui stesso), si era creato un esclusivo angolo salvifico.
Sistemando alla meglio una vecchia e consunta poltrona in velluto marrone, una lampada a piantana tanto lunga quanto pericolosamente instabile ed una manciata di altri vecchi, deposti arredi, aveva creato una zona franca casalinga in cui trovare all'occorrenza rifugio, salvezza dalla affettuosa esuberanza della moglie.
Quando comprendeva che la soglia di incontro/scontro con la consorte, sulle ordinarie questioni domestiche, stava imprudentemente per superare il livello di sopportazione, con discrezione, quatto quatto, quasi alla chetichella, si defilava nel suo antro felice in soffitta dove, assorto tra mille pensieri, si isolava a rimuginare sulle questioni più disparate della sua vita passata, presente e futura.
Era una situazione che, a mò di valvola di sfogo, si verificava più volte nel corso di ogni santissima giornata. In particolare, in occasione dell’approssimarsi dell’ora di cena (momento critico oltre ogni misura in ragione della scelta complicatissima di cosa mettere a tavola), in tempo utile, il pover’uomo, per sottrarsi al fuoco di fila delle domande (e connesse considerazioni), si spostava in soffitta sulla poltrona di velluto marrone e lì, facendo decantare, raffreddare i tempi, attendeva che la cena fosse messa a tavola.
La moglie, dal canto suo, ritenendo la cucina di casa suo personalissimo ed inviolabile territorio, in fondo, pur irritandosi, vedeva di buon occhio il defilasi in soffitta da parte del marito; soggetto che, viceversa, sarebbe stato considerato, in quel frangente, alla stregua di un ingombrate ed inutile ostacolo mobile capitato inopportunamente nella zona delle sue operazioni. Completata la messa in opera della cena, in vestaglia e pantofole e con una sigaretta fra le dita, si sarebbe portata sulla soglia della soffitta dove, con tono affettuosamente autoritario, avrebbe invitato il coniuge a venire di sotto a tavola per prendere parte alla cena.
Con gli anni, questo rituale si era intensificato divenendo, tra i due, una divertente costante nella routine quotidiana della casa. Tommaso, prima dell'apertura delle ostilità, sgattaiolava in soffitta e la moglie, per cena, diligentemente se lo andava a riprendere.
Come sempre, anche quel tardo pomeriggio Tommaso, per sgombrare il campo delle operazioni, si era avviato con rituale passo mesto verso la sua prediletta poltrona in soffitta. Salendo le scale che lo avrebbero portato al suo “angolo di paradiso” aveva avvertito un senso di spossatezza, di stanchezza dovuto, secondo lui, alla inattività fisica in cui si era piacevolmente calato, tra le mura domestiche, negli ultimi anni della pensione.
Al cospetto della sua poltrona, differentemente da come era sempre avvenuto, questa volta si era lasciato andare pesantemente stanco all’indietro atterrando sulla seduta che, per l’inusuale impatto, aveva significativamente emesso, con uno sbuffo, un proprio personale, sofferto commento sotto forma di nuvola di polvere.
Il passaggio dai pensieri al sonno era stato, lentamente, un piacevole tutt’uno.
Ad un dato momento, interrogandosi su quanto tempo fosse trascorso, quasi ne avesse avvertita la presenza, aveva pigramente dischiuso gli occhi verso la porta della soffitta trovandoci, prevedibilmente, la figura più che generosa della moglie Marta in controluce.
Provando ad anticiparla, calzando il migliore dei sorrisi di circostanza, aveva provato a dirle: “dammi solo un attimo che vengo giù nel soggiorno a cena”. La donna, sfoderando un inusuale sorriso dimenticato oramai nella notte dei tempi, di rimando gli aveva risposto: “caro, dove stiamo andando non ci sono né soggiorni né cene”.
La risposta ricevuta (in particolare il "caro") gli era sembrata strana, incomprensibile, ma per non porre ulteriori questioni, glissando si era comunque alzato lentamente dalla sua poltrona. Provando a prendere in mano l’interruttore della lampada, per spegnerla, aveva osservato che la sua mano attraversava stranamente l’oggetto al pari di un soffio di nebbia.
Nel ripetere, a conferma, il gesto più d’una volta aveva finalmente compreso che la moglie Marta era passata a prenderlo non per condurlo a tavola per cena, ma per percorrere con lui, mano nella mano, affettuosamente, finalmente una volta per tutte in armonia, il loro ultimo viaggio.
di Marco Iannelli
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