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Un Angelo a Scampia

  • Writer: Marco Iannelli
    Marco Iannelli
  • Feb 8, 2016
  • 6 min read

Nel circondario di Scampia, zona del quartiere Secondigliano, estrema periferia nord di Napoli, era conosciuto da tutti come O’ mucio surd’.


Questo termine, proprio del dialetto arcaico napoletano (lessicalmente il muto sordo), sta ad indicare una persona che, pur non dotata di particolari capacità sensoriali (per l’appunto sia muta che sorda) comunque per furbizia, scaltrezza, arguzia, riesce a tirare acqua al suo mulino in maniera più che efficace.


Non si sa da quanto tempo quel nomignolo aveva cominciato ad assurgere al rango di ufficialità in capo alla sua persona, né da quando il signor Gennaro aveva stabilito la sua dimora abituale in quell’anonimo, grigio e cadente alveare popolare a due passi dalle ben più famose e titolate “vele di Scampia”.


Sta di fatto che, pur non ricordando nessuno da quando fosse lì, da un dato momento O’ mucio surd’ era apparso magicamente a Scampia diventando significativa parte integrante di quella variegata componente umana che animava quella caratteristica zona.


O’ mucio surd’ era una persona di età indefinibile (in questi casi, da quelle parti, era solito dirsi: di mezza età), del tutto priva di alcuna forma di legame familiare, abbigliata in modo volutamente dimesso, perennemente con una barba incolta di tre giorni e sistematicamente con una sigaretta in bocca gestita nervosamente dalle punte, pesantemente annerite dalla nicotina, di un indice ed un medio della mano destra innaturalmente tremolanti.


La particolarità del signor Gennaro (lo chiameremo così ora e mai più) era però un'altra.


Da quando era apparso da quelle parti, a memoria d’uomo, pur riuscendo ad interagire adeguatamente con il contesto, O’ mucio surd’ nessuno lo aveva mai sentito parlare (da qui forse la natura di quel buffo nomignolo). La gente era talmente abituata a veder girare nel quartiere quella figura allampanata e dimessa - che comunicava ascoltando con attenzione senza però profferire parola alcuna - al punto che aveva incominciato a tramutare l’iniziale diffidenza, che nutriva nei suoi confronti, con della spontanea e genuina simpatia.


In tanti, nel quartiere, conoscendolo come una persona sola (nessuno sapeva dire se avesse mai avuto una moglie, dei figli, oppure una qualche forma di legame affettivo), lo cercavano per portargli generi di conforto come un piatto caldo a pranzo o a cena, per donargli un paio di scarpe ancora mettibili, piuttosto che un cappotto il cui unico pregio era l’avere l’aggettivo non ancora tramutato da vecchio a liso.


A tutte queste attenzioni, indistintamente, O’ mucio surd’ ringraziava con un solare, comunicativo e serafico sorriso sempre senza profferire parola alcuna. Ed era un modo di dimostrare riconoscenza così significativo ed apprezzato dalla gente che, nel caso una bella mattina avesse ringraziato in modo differente (casomai parlando), più d’uno ci sarebbe sicuramente rimasto male.


Molti, si erano posti (ed a dire il vero ancora si ponevano, affettuosamente, per la simpatia ed il consenso che suscitava) la domanda di stabilire da quando era sorto quell’handicap comunicativo.


La realtà delle cose, però, come spesso accade, era ben diversa.


Quel signore con il cappotto più grande di due taglie non aveva alcun deficit fisico ascrivibile in capo alla parola. Questi era, molto più banalmente, una persona normalissima che, pur potendo potenzialmente parlare correttamente come tutti, da un dato momento aveva deciso di smettere di comunicare utilizzando “banalmente” la parola.


Non c’era, quindi, alcuna forma di malattia, o ritardo psico/fisico, o più genericamente impedimento patologico. Semplicemente, quello che tutti chiamavano oramai familiarmente O’ mucio surd’, era solamente un individuo come tanti che, per sua singolare scelta, aveva deciso di comunicare con i suoi consimili (termine, a dire il vero, forse un po’ azzardato…) senza utilizzare più la parola.


La cosa era nata quasi per caso, ad un dato momento, nel passato della sua esistenza, ed era proseguita rafforzandosi e radicandosi sempre più; al punto che, all’atto in cui si era presentata l’impellenza di comunicare verbalmente, un po’ per abitudine, un po’ per coerenza, le parole non gli erano volute uscire più di bocca.


Tra le tante persone che avevano oramai imparato ad apprezzarlo, ed ad avere familiarità con lui, c’era anche Lisetta una vispa bambina di 9 anni che, per una forma di spontaneo affetto che solo i piccoli sanno avere, già da tempo, aveva preso l’abitudine di dirottare quotidianamente il tragitto che compiva la mattina, per recarsi da casa a scuola, per avere il piacere di passare davanti alla panchina dove, ad inizio di mattina, si sistemava O’ mucio surd’ con aria distratta a fumare la sua prima delle tante sigaretta della giornata.


La bambina viveva questo appuntamento mattutino come una sorta di piacevole, irrinunciabile, incombenza al termine della quale, salutato con simpatia il suo strano amico, avrebbe poi proseguito di filato, come le raccomandava la mamma ogni mattina, per la scuola.


Anche quella maledetta mattina era lì, pronta al suo infantile appuntamento per incrociare lo sguardo con quel brav’uomo. Nel connettere lo sguardo con quello del suo amico aveva però prestato poca attenzione all’atto di attraversare la strada. Era stato un attimo, solo un maledettissimo attimo. Una auto giunta in velocità, in frenata l’aveva presa in pieno sbalzandola a distanza sull’asfalto come una bambola disarticolata.


O' mucio surd’ che aveva seguito tutta la scena, senza emettere un fiato, era sbiancato e commentando, come sempre, solo con la fisionomia del volto le sue emozioni, con gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata in una maschera deformata di disperazione, era scattato in piedi dalla panchina, aveva gettato a terra la sigaretta non ancora terminata (mai a memoria si era vista una cosa del genere da parte sua) ed era rimasto alcuni interminabili secondi in piedi stringendosi, sempre in un muto silenzio, disperatamente, e con tutta la forza possibile, le mani alla altezza del volto.


Era giunto sul posto quando già si era formato un capannello di persone accorse per provare a portare aiuto, come avviene in questi casi, alla bambina. Quest’ultima, pur senza apparenti visibili danni, era a terra del tutto incosciente. Avrebbe voluto portarsi avanti per vedere le condizioni della sua piccola amica, per fare anch’egli qualcosa, ma un muro di persone non gli consentiva null'altro altro che sporgersi con il collo oltre le spalle degli astanti per provare a vedere i danni subiti da Lisetta.


Dopo una serie di interminabili minuti era giunto un medico lì di passaggio, letteralmente trascinato dalla folla, che aveva iniziato a prestarle i primi seri soccorsi.


O’ mucio surd’, ultimo avamposto umano di quella marea di gente che si era formata attorno alla piccola, era rimasto al suo posto indietro sperando in cuor suo in un epilogo positivo della vicenda.


Ad un dato momento, incredulo, aveva udito, dal mesto e rassegnato commento del medico accorso, quasi coperto dal vociare isterico della folla, che per la piccola Lisetta non c’era più nulla da fare.


Si era sentito gelare dentro e, raccolte le ultime forze, si era fatto strada fra la folla, con l'irruenza della disperazione, raggiungendo finalmente il corpo della sua piccola amica.


In ginocchio, goffo nel suo vecchio ed abbondante cappotto, le aveva preso con paterna tenerezza la manina e stringendola a se, tra le sue macchiate di nicotina, aveva esclamato con un tono di voce greve e roco: “No, non è possibile non puoi andar via così …”.


Udendolo parlare, la folla, quasi fosse stato un corpo unico, aveva immediatamente smesso di fiatare. Tutti, ma proprio tutti, erano basiti più per la sorte stessa della bambina, per il fatto di scoprire che O’ mucio surd’ poteva, sapeva parlare.


Il cerchio umano, nel sentirlo parlare, quasi avesse avuto il timore che si fosse potuto verificare un ulteriore, imminente sortilegio, si era allargato, prendendo le distanze, lasciandolo al centro solo e disperato con la sua piccola amica esanime.


Intorno si era creato un silenzio raggelante animato solo dal farfugliare, inatteso ed incomprensibile, di quell’uomo, mal messo, in preda alla più cupa disperazione.


In ginocchio, con la testa rivolta al cielo e gli occhi chiusi, O’ mucio surd’ aveva iniziato una lugubre ed incomprensibile cantilena che accompagnava degli strani gesti circolari fatti con i suoi pollici sulla fronte di Lisetta data ormai da tutti per morta. Più la cantilena aumentava di intensità e più veloci erano i gesti fatti con i suoi pollici; gesti che, invero, avevano un non so che di scaramantico.


Ad un certo punto dello strano rituale, si era immediatamente bloccato e, aperte all’improvviso le palpebre, aveva mostrato alla folla sbigottita le pupille bianche completamente strabuzzate all’indietro.


Quasi fosse stato un sacco repentinamente svuotato, era caduto alla fine a schiena a terra con le tutte e due le braccia aperte.


Nello stesso istante in cui si consumava questa impressionante scena, Lisetta da terra aveva riaperto di scatto gli occhi ed aveva ripreso all’improvviso conoscenza. Il suo corpo si muoveva ora lentamente, con grazia, quasi fosse stata svegliata da poco da un sonno ristoratore pomeridiano.


A terra rimaneva esanime O’ mucio surd’ in un elegante abito bianco, illuminato da un'aura di abbagliante candore il quale, non si sa per quali divini ed oscuri meccanismi, aveva trasferito, in uno slancio di angelico affetto, il suo soffio vitale alla sua piccola amica.


Non ci credete ? Che devo dirvi: sono cose che accadono solo a Scampia ...


di Marco Iannelli







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