La spilla dell'abito da sposa
- Marco Iannelli
- Feb 7, 2016
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Qualcosa di strano era accaduto durante la notte.
Lo sentiva, lo avvertiva, lo percepiva intimamente, in forma crescente, proprio nel momento in cui l’alba acerba aveva iniziato a farsi avanti con decisione, prepotentemente, incontenibilmente, con uno stiletto di luce che si faceva strada, con carattere, attraverso lo spazio venutosi a creare tra le ante in legno naturale, malamente accostate, del balcone della camera da letto.
La sera prima era stata una serata impegnativa, di acceso confronto, di quelle che non vorresti mai vivere a fine giornata.
Ad un dato momento, in una discussione familiare iniziata quasi per caso con la moglie Francesca - discussione i cui particolari erano resi sfuggevoli dall’incipiente e dolorosa condizione di risveglio mattutino che teneva avidamente ancora rapita, attanagliata, fra le sue mani il suo livello di attenzione impedendogli di metterne efficacemente a fuoco ogni dettaglio - si era trovato contro, ad un certo punto, pure le due figlie Martina e Nicole.
Le tre donne di casa, coalizzate attorno al tavolo di legno della cucina, si davano manforte spalleggiandosi con convinzione contro la sua persona provando, pervicacemente, con eloquente gestualità e vibrate parole, a sostenere le loro ragioni.
In un accavallarsi isterico e concitato di voci, Mario ad un dato momento si era trovato oggettivamente in difficoltà (quantomeno numerica) con le sue donne di casa e, con la pazienza e la sopportazione che solo i mariti ed i papà amorevoli sanno in ogni occasione sfoderare, aveva tentato, provato a sostenere le su tesi, le sue ragioni.
Tale però era la passione messa nello scambio dialettico dalle tre “femmine di casa” (così affettuosamente Mario apostrofava nelle occasioni critiche il suo personale universo femminile casalingo) che, nella pratica, l’interlocuzione si era pressoché attestata in un unico senso: da un lato lui, solitario maschio di casa (eccezion fatta per il serafico gatto Flipper che, senza sapere cosa stesse accadendo, nel dubbio, aveva preferito mettere le sue membra pelose in salvamento al sicuro dietro al divano), che provava anche un po’ intimidito a controbattere, a tener testa, con monosillabi e con decrescente convinzione all’assalto verbale delle tre erinni domestiche.
Dall’altro, in una vitalissima, unica, quasi paranormale entità, sielevavano all’unisono le voci combinate della mamma e delle due figlie (il tono di voce differenziato delle improvvisate “nemiche” di casa era dovuto alla diversa età delle tre che, con gli 11 anni della più piccola Martina ed i 14 anni della maggiore Nicole, facevano, in uno con l’età della mamma, un granitico ed espugnabile Moloch forte di 67 anni di pura esperienza femminile).
Era, quindi, oggettivamente troppo per lui anche solo poter ipotizzare di spuntarla contro una simile entità astratta anche nella denegata ipotesi che potesse avere in qualche modo ragione.
Ad un dato punto, vista l’impossibilità di venire dignitosamente a capo nella discussione, aveva ritenuto che fosse più prudente desistere e, scacciando qualcosa di inesistente con un gesto della mano nell'aria, girando le spalle aveva congedato le tre furie di casa ancora per inerzia in piena attività verbale. Per cui, con aria mesta di chi rinuncia solo ed esclusivamente per amore, si era avviato in pantofole guadagnando la salvifica porta della camera da letto (le tre ben conoscevano questo suo aspetto caratteriale e questa, in fondo, era la loro forza).
La notte, a dispetto di come era andata ad articolarsi la serata, era trascorsa senza particolari, significativi, intoppi ed ora, in pieno mattino, si ritrovava ancora avviluppato fra le lenzuola ed attanagliato dal sonno.
La realtà, in uno con la luce del mattino, aveva lentamente incominciato a prendere corpo. Aveva, quindi, man mano iniziato preoccupato a porre in essere, dal letto, le verifiche del caso trovando oggettivo riscontro a ciò che gradatamente stava andando a scoprire.
Il corpo maturo, rallentato da 48enne sposato aveva lasciato il posto nel letto, fra le lenzuola finalmente districate con impazienza con i piedi scalcianti, a quello ben più tonico, reattivo di un giovane 25enne.
La stanza da letto, con la generosa luce del mattino oramai in fase più che avanzata, iniziava a definirsi ad apparirgli non quella della sua controversa casa coniugale, ma bensì quella dell’abitazione in cui risiedeva quando ancora era uno scapolone impenitente. La poltrona dove usualmente prendeva posto il gatto persiano Flipper per dormire non c’era più e, al suo posto, c’era un tecnologico rack con il suo impianto stereo di quando era ragazzo.
Infilate in gran fretta delle goliardiche (per usare un percorribile eufemismo) pantofole a pupazzetti che non riconosceva essere sue, era sceso al piano di sotto dell’abitazione in affannata perlustrazione alla ricerca delle umorali donne di casa ma, soprattutto, alla ricerca di un qualche elemento di conferma che avesse potuto in qualche modo confortarlo, tranquillizzarlo, dargli il giusto segnale che era stato tutto solo un brutto sogno, tutto un errore, tutto un bizzarro scherzo giocatogli da un neghittoso ed incorreggibile mattino.
Ad un dato punto, però, si era dovuto arrendere all'evidenza dei fatti. Senza comprendere in alcun modo come tutto ciò era potuto accadere si era ritrovato, senza alcuna apparente spiegazione, proiettato indietro nel tempo, nel suo tempo passato, peraltro, portando inesplicabilmente in incomoda dote intatti tutti i suoi ricordi della vita condotta fino alla sera prima.
Si trovava ora, metabolizzato l’iniziale smarrimento, in piedi in mutande e ridicole pantofole assorto al centro di un salotto, (e più in generale di un mondo) che non riconosceva essere più il suo da tempo immemore.
Compresa del tutto la situazione aveva preso fra le mani un’agendina telefonica dalla quale, alla lettera B, aveva tratto fuori il numero di Brizio il suo più caro amico. Catapultatosi letteralmente sul telefono di casa (anch’esso, per le sue reminiscenze della sera prima, inspiegabilmente demodé) aveva preso a comporre il numero per provare, tentare, ad interloquire con un qualche essere umano con cui condividere il suo incessante disagio, ma soprattutto questa incredibile situazione.
L’improvvisa risposta di Brizio, dall’altro capo del telefono, gli aveva dato un caldo senso di temporaneo sollievo.
- “Brizio, ci sei ? Ciao sono Mario. Come va ? Sai stamane mi è accaduta, anzi mi sta accadendo, una cosa stranissima, un qualcosa che ha dell’incredibile”.
- “Mario, deve essere qualcosa davvero di importate per tirarti giù dal letto a quest’ora”, profferì, di rimando, l’amico, dall’altra parte, perplesso oltremodo per l’ora della chiamata.
- “Sai Bri’ è un qualcosa con cui non mi ci raccapezzo. Stamane mi sono svegliato ed ho scoperto che ho 25 anni”.
- “E allora Mario, qual è la novità, TU HAI 25 anni” rispose caustico e lapidario Brizio.
Alla risposta di Brizio così convinta e stranita, Mario aveva compreso che la conversazione poteva, anzi doveva, necessariamente finire lì. Non avendo alcuna intenzione di passare per matto, ma ancor più, non avendo alcun elemento a sostegno, a suffragio, di ciò che avrebbe voluto dirgli circa l’inspiegabile (per lui stesso) accadimento di essersi trovato, al risveglio, nel corpo di quando aveva 25 anni, di rimando prudentemente liquidò l’amico con un lapidario “scusa Bri’, abbi un attimo di pazienza, bussano alla porta, ti richiamo tra un po’”.
A questo punto, in braghe di mutande e con le mani fra i capelli, aveva incominciato a camminare ripetutamente al centro del salotto, nervosamente, senza rendersene conto, definendo ripetutamente un percorso circolare ampio lungo il quale provare a trovare una possibile soluzione a ciò che sotto i suoi occhi stava accadendo.
Invero, non è che gli dispiacesse più di tanto il fatto di essere ringiovanito all’improvviso ed essersi gettato dietro le spalle tutti gli acciacchi e le negatività proprie di un corpo maturo da 48enne. La questione che lo metteva a disagio era quella parte della sua memoria, della sua vita passata (anzi in quel momento futura) che in questo strano viaggio spazio/temporale, in qualche modo, si era portata indietro attaccata, piantata, nella testa.
Ripresa in mano la situazione, ma soprattutto la cornetta telefonica, aveva deciso di chiamare l’unica persona che avrebbe potuto capire, in qualche modo comprendere, ragionevolmente credere a tutto quanto gli stava accadendo.
Composto il numero telefonico, dall’altra parte della linea aveva risposto, dopo una serie di interminabili squilli, quella che al momento era la sua fidanzata, ma che fino alla sera prima era la stata la sua dispettosa moglie 45enne.
- “Pronto ? Ciao Francesca sono Mario”.
- “Ciao Mario, tutto a posto ? Come mai questa telefonata a quest’ora del mattino ? Mi fai preoccupare. E’ successo qualcosa ?” Disse con voce assonnata la ragazza.
- “Nulla tesoro. Tutto bene. E’ solo successo un episodio a cui non so dare spiegazione e di cui te ne vorrei parlare immediatamente da vicino. Ti posso raggiungere tra un po’ a casa”. Disse con tono sofferto e preoccupato.
Francesca, dal canto suo, non comprendendo appieno la portata della questione acconsentì pazientemente: “Amore, certo che sì, vieni subito da me che ne parliamo, ti sento strano a telefono e questo mi fa stare preoccupata”.
Inforcata la bicicletta appoggiata alla siepe di casa, Mario aveva iniziato a pedalare forsennatamente verso la casa della sua ragazza, che era a due soli isolati, portandosi con sé, durante tutto il tragitto, un turbinio di pensieri scomodi solo tanto quanto irreali.
In lontananza, tutto sudato, aveva iniziato a scorgere l’abitazione dei genitori della sua ragazza osservando, con piacevole sorpresa, che era esattamente così come la ricordava. Saltato giù dalla bici ancora in corsa, aveva trovato Francesca in camicia da notte e pantofole sull’uscio di casa che, in ansia, vedendolo arrivare dalla vetrata di casa, era già scesa giù per anticiparlo.
Mario, sudatissimo più per l’agitazione che per la concitata pedalata, si era accomodato subito sul divano di casa assieme alla sua futura moglie.
La ragazza, nel vederlo così congestionato ed affannato aveva immediatamente profferito: “Diamine Mario, sei trafelato, deve essere davvero una cosa importante se sei schizzato fuori dal letto di prima mattina per scappare qui da me”. Dopo un sofferto sospiro ed un’ampia pausa, unendo le gambe ed accomodandosi la camicia da notte per bene sulle ginocchia aveva continuato predisponendosi per ascoltarlo: “Dimmi…”.
Mario, paonazzo in volto, sudato ed affannato neanche fosse dovuto scappare con la bici da un branco di 10 cani che avevano preso ad inseguirlo, aveva subito detto: “tesoro, è successo un casino che neanche immagini. Stamane mi sono svegliato ed ho scoperto di avere 25 anni e che tra un anno ci sposeremo”. Nella concitazione del momento, senza rendersene inizialmente conto, aveva gettato fuori solo una parte della vicenda; parte che, se per lui poteva avere un qualche senso (alla luce della sua incredibile esperienza) per la ragazza, piantata nell’epoca giusta, ne aveva certamente un altro.
- “Mario, tesoro, so benissimo che hai 25 anni e che tra un anno ci sposiamo. Abbiamo fissato insieme la data del matrimonio. Ricordi ?” Aveva iniziato a dire la ragazza con un tono e con delle pause studiate di chi inizia a spazientirsi.
Mario, dal canto suo, ripresa contezza della incredibilità della vicenda aveva bloccato con le sue mani le mani della ragazza sistemate ordinatamente sul tessuto della camicia da notte in prossimità delle ginocchia e, deglutendo nervosamente, aveva iniziato nuovamente a parlare.
- “Francy, amore mio, è meglio che inizio dal principio. Mettiti comoda che è una storia che ha dell’incredibile. Io sono Mario, ma non sono il Mario di sempre”. Disse con la convinzione di chi si sta andando a cacciare in un pericoloso vicolo cieco.
- “Allora, partiamo dal principio. Ieri sera quando mi sono addormentato mi trovavo in una casa con te. Avevo 48 anni e tu 45 ed eravamo sposati ed avevamo due bellissime bambine, di 11 e 14 anni, a cui tua mamma aveva voluto dare il nome di Martina e Nicole. Abbiamo avuto una discussione ed io sono andato a letto ed ho preso sonno. Quando poi stamane mi sono svegliato mi sono trovato non a casa mia da sposato, ma nella mia casa di qui. Non questa qui, qui... la tua, cerca di capire, ma… quella dove abito io. Insomma, quella di quando io ho adesso 25 anni, per intenderci…”.
Disse, tutto d’un fiato, con tono preoccupato, incerto e confusionario e proponendo alla sua attonita interlocutrice una costruzione grammaticale della frase che aveva dell’incredibile, per quanto era raffazzonata, in misura pari solo alla storia stessa.
- “Ascolta, non interrompermi ti prego, è molto importante per me. So che questa storia ha dell’incredibile, ma non sono diventato pazzo, non me lo sono sognato quello che ti sto dicendo”. Ripreso un attimo il fiato Mario aveva, con convinzione crescente e facendosi coraggio, continuato a raccontare.
- “Bene, noi tra un anno ci sposeremo e tu indosserai un abito da sposa molto bello, di foggia antica, ricamato, che ha in vita una fascia di seta con delle perline tenuta su, sul di dietro, da una spilla in oro bianco a forma di fiocco tempestata di piccoli diamanti. Questa spilla antica della fascia ha però, in un punto, un problema: ci manca uno dei diamanti”.
Nel sentire questa parte iniziale del racconto il volto della ragazza, da una espressione iniziale di paziente sufficienza, era passato ad assumere un aspetto più attento, man mano quasi preoccupato. Questo particolare, pur nella sua concitazione, non era sfuggito a Mario il quale, ad un tratto, interrompendo il suo discorso, le aveva chiesto: “Tesoro, capisco che la storia ha dell’incredibile, ma perché quella faccia ? Sei diventata seria tutto ad un tratto…”.
- “Ascolta Mario, inizialmente la storia che hai incominciato a raccontare mi sembrava una delle tue solite fissazioni, una delle tue stramberie, però hai indicato due particolari che affatto non potevi conoscere e di cui mai io, né mia mamma, te ne abbiamo parlato”.
Il ragazzo, questa volta bloccato con decisione da Francesca, terrea in volto, aveva finalmente preso con pazienza ad ascoltare, più preoccupato che incuriosito.
- “Vedi, Mario, ci sono particolari della nostra famiglia che, su esplicita richiesta di mia mamma, non ho mai potuto raccontarti e che credo, stante quello che mi hai poc’anzi detto, sia giunto ora il momento che tu debba conoscere. Mia nonna aveva due sorelle che sono morte in guerra durante un bombardamento americano e che si chiamavano Martina e Nicole. Queste due bambine morirono tragicamente rispettivamente all’età di 11 e 14 anni. Mia mamma, che ha sempre ricordato con tanto dolore questa sciagura familiare, pur senza mai volerne parlare, mi ha chiesto che nel caso avessi avuto dalla vita delle figlie di chiamarle proprio come le due bambine morte sotto le bombe. Inoltre, mamma in occasione del mio matrimonio ha promesso di donarmi una cinta antica molto preziosa, in seta con perline, che indossava mia nonna sul suo abito da sposa. Questa cinta che, come è da tradizione tu avresti avuto modo di vedere solo sull’altare, è fatta esattamente come l’hai descritta ed ha, neanche a farlo apposta, la fibbia in oro bianco a forma di fiocco sulla quale manca un diamantino che, nel tempo, è andato perduto”.
Nell’udire questo racconto i volti dei due ragazzi finalmente avevano trovato una qualche comunanza. Entrambi attoniti avevano compreso che nella vita i destini delle persone possono essere anche scritti e possono intrecciarsi, in qualche modo, in un gioco sottile di scambi ed opportunità negate e concesse dalla vita stessa.
Sia Mario che la sua Francesca, abbracciandosi commossi e turbati, avevano finalmente capito, compreso, che effettivamente quella mattina qualcosa di incredibilmente unico, irripetibile, eccezionale, era accaduto nelle loro vite e che certi segnali, che il destino prepotentemente ci invia, non debbono essere trascurati, assolutamente mai sprecati, perché nei reconditi meandri dell’universo c’è comunque qualcuno che tiene le fila di disegni inspiegabili.
Inspiegabili almeno fino ad un dato momento…
di Marco Iannelli
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