Questo Paese sta morendo
- Marco Iannelli
- Feb 7, 2016
- 9 min read

Ho capito che sto invecchiando. Ho inizialmente provato a nasconderlo a me stesso, ma è proprio così. E quindi, per mia abitudine – ma qualcuno potrebbe farmi osservare, per puro senso di egoismo, di istinto di conservazione – cerco di salvarmi.
In qualche modo.
Cerco di salvarmi con un modo a me congeniale, quello meno faticoso, il più piacevole. Ed è il modo che, peraltro, per esperienza di vita, ritengo il più funzionale: vivere a contatto con il mondo dei giovani, con i loro ragionamenti, le loro idee, a volte folli, incoscienti, ma sempre fresche, attuali, proiettate verso il futuro.
Il travaso di esperienze di vita è un qualcosa che tonifica lo spirito, rinvigorisce l’animo, rivitalizza la mente; il fisico, uno di questi giorni, alla fine decadrà pure, cederà (è una condizione inevitabile, è l’essenza della vita stessa), ma avrà - credo, almeno spero - una mente che, “rifocillata” quotidianamente dal confronto con l’universo giovanile, potrà ancora disporre di occhi privilegiati per osservare, con appagante curiosità, le mille meraviglie dell’universo.
In questa ottica, un osservatorio privilegiato è l’attività universitaria che svolgo e che mi arricchisce (assolutamente non dal punto di vista economico) dandomi l’opportunità di gettare uno sguardo su un mondo (quello dei giovani) che tutti dovrebbero seguire con interesse; quantomeno per non rimanere indietro con le evoluzioni, i mutamenti sociali.
Molte volte, troppe volte, quando sono a contatto con i giovani – con i quali cerco di discutere, discutere e ancora discutere per provare a dare corpo, successo, ad un esercizio che ritengo importantissimo: incrociare il mio passato con il loro futuro – sento dire da questi ultimi che, al termine dei loro studi, andranno via all’estero per lavoro (per chi ovviamente ne ha le possibilità economiche). Come si diceva ai miei tempi: “per cercare fortuna”.
Badate, si parla di studi fatti ad altissimo livello, di qualità, di lauree prese con il massimo dei voti in prestigiosissimi atenei. Non si parla di giovani con un misero diploma di licenza elementare in tasca che vanno a spendersi da manovali in una delle tante realtà industriali d’oltreoceano come poteva avvenire, ad esempio, negli anni ’30 in occasione dei flussi migratori di stampo tayloristico.
Sento parlare speranzosamente (purtroppo solo in questi momenti) di mete lontane quali: Londra, Parigi, Berlino, quand’anche New York. In queste occasioni, faccio molta attenzione a quello che mi dicono in quanto non sento mai parlare dell’Italia come meta finale di lavoro, di vita futura da parte di questi ragazzi, dei nostri ragazzi. Peraltro, anche rispetto ai lavori più inusuali si guarda oramai all’estero come meta salvifica (un giovane, a me caro, stanco, arreso, alla fine è andato a svolgere la sua bella attività di tatuatore, pensate un po’, in Baviera…).
E’ un qualcosa, questo specifico aspetto, che mi rattrista molto (e che, intimamente, mi da il senso precario di rimanere solo).
In primo luogo, perché ritengo che un giovane che completi con sacrificio i suoi studi universitari, preparandosi ad offrire le sue solide conoscenze al mondo del lavoro, sia comunque un cittadino, per caratteristiche personali, pregiate.
Sia un cittadino con una dote, un surplus differente dalla massa e sia quindi, in ultima istanza, una risorsa preziosa per il Paese di origine che non dovrebbe essere persa in alcun modo, lasciata scappare via con colpevole distrazione (Paese che, fra l’altro, su di lui ha investito rilevanti quantità di denaro per prepararlo).
Ogni mente pensante, qualificata, preparata in generale adeguatamente alla vita, che inopinatamente va via da questo Paese, rappresenta un virtuale mattoncino che viene tolto alla crescita, alla civilizzazione, al livello di erudizione di una nazione. Rappresenta, ritengo, una pesante sconfitta per la collettività.
Seguendo, anzi dando libero sfogo, a questo processo (la cd. “fuga dei cervelli”), lasciandolo perpetrare senza freno alcuno, facendo andar via le pedine migliori di questa virtuale partita di scacchi giocata contro il futuro (sì, signori contro: perché il futuro è ostile, nulla ti regala), alla fine questo Stato avrà disponile solo ciò che resta, lo scarto, un residuo di giovani ignoranti (quelli che non hanno voluto o potuto studiare adeguatamente), impreparati, massificati, appiattiti, sui quali non potrà investire e costruire a quel punto nulla.
Sarà uno Stato debole, irresoluto, debilitato, in quanto non avrà le armi necessarie (prime fra tutte, la sua classe giovanile preparata, la sua elite) per vincere la sua sfida più importante, più che mai competitiva con i mercati.
Se ci pensate un attimo è un qualcosa di davvero preoccupante e scoraggiante.
Non scherzo e non sono esageratamente catastrofico, ma con qualsiasi giovane mi trovi a parlare – giovane motivato che abbia, dopo gli studi, un minimo di “carte da giocarsi”, un minimo di proiezione prospettica – mi sento rispondere: “qui in Italia ? No, per carità, non c’è nulla da fare ! E’ un paese perso, senza una raccomandazione, un “santo in paradiso” non vai da nessuna parte. Perdi solo tempo e, quindi, conviene andare via, come d’altronde appena posso farò, all’estero per trovare una giusta via, una prospettiva di lavoro fuori dagli stantii schemi delle raccomandazioni”.
Per inciso, è duro sentire: “appena posso andrò via” in quanto testimonia un intendimento maturato e coltivato, in un ambito di totale sfiducia verso il contesto in cui quotidianamente si vive, già durante l’excursus universitario. L’obiettivo dei futuri piani si sposta, diventa, non già il traguardo della laurea per lavorare, ma il momento in cui finalmente si andrà via.
Concludono quasi sempre: “non so tu, ma io ne ho le palle piene di questo Paese” (scusate i termini, ma riporto cronisticamente un loro giusto stato d’animo).
Insomma, i bravi per davvero si sono arresi (che stranamente sono sempre quelli che disprezzano visceralmente le cd. “raccomandazioni”; provate a dire ad uno bravo: ho un “amico” che ti può aiutare ad un esame all’università, in un concorso e dopo, osservate lo sguardo schifato con cui vi guarda …).
Al termine degli studi, laurea sotto braccio, prendono la loro bella valigia – non più di cartone come avveniva una volta (il fenomeno migratorio dei giovani verso l’estero oggi è costoso e quindi avviene, pur con sacrifici da parte delle famiglie, in modo certamente più agiato) – e fuggono letteralmente via.
E’ un fenomeno – quello delle menti giovanili pensanti che, alla fine di mille tentativi, scappano via all’estero – che è attuale. E come tutti i fenomeni attuali che si agitano nervosamente nel Paese è sempre bene prenderne atto ed approfondirli (per quanto possibile in tempo utile).
In questo ambito credo che grandi colpe siano da ricercare in una classe politica, una certa classe politica (ancora una volta, sempre loro…) troppo invadente, che non ha compreso che è venuto il momento di darsi un limite, che non può e non deve entrare in tutto, che così facendo sta annientando i sani principi del “darwinismo” che sono alla base della evoluzione, della crescita della società civile e, più in generale, che sono alla base del miglioramento di qualsiasi sistema organizzativo più o meno complesso.
Una classe politica che deve smetterla di supportare i meno capaci (puntualmente raccomandandoli e spingendoli avanti) a discapito dei migliori. Deve togliere, una volta per tutte, le sue grinfie dal più generale mercato del lavoro dei giovani alterandone irreparabilmente le dinamiche competitive. Alla fine, così facendo, in maniera del tutto miope, creerà un tessuto sociale composto solo da inetti e perderà per strada i migliori che, avviliti e sfiduciati, andranno a spendersi altrove, diverranno la classe dirigente (peraltro, pericolosamente riconoscente) di un altro Paese. Darà origine ad un tessuto sociale, del tutto inadatto a vincere la sfida con il progresso che si gioca, oggi giorno e più che mai nel futuro, sul difficile, complesso ed agguerrito terreno della globalizzazione planetaria.
Una classe politica che, quantomeno, dagli ultimi 20 anni nulla ha fatto per cercare di arginare tutto ciò (pensandoci, forse anche da prima, ma almeno prima era una classe politica che, quantomeno, aveva il “cipiglio” da statista).
Anzi, soprattutto quella attuale, è una classe politica che appare senza smalto, si presenta male, senza apparente vigore nelle sue proiezioni intellettuali e di programmi a cui, molto probabilmente (consapevole dei suoi tanti limiti e del fatto che è stata, anch’essa, cooptata non per meriti), fa molto, troppo comodo avere, alla fine di questo inesorabile processo, una classe giovanile ignorante (ed a ciò, purtroppo, alla fine si arriverà), affatto non pensante, appiattita su futili stereotipi; stereotipi veicolati ad arte dai mezzi di comunicazione che pure fanno, in modo deciso, la loro parte.
Per molti giovani, troppi purtroppo, oggi incomincia a divenire più rilevante avere un Iphone ultimo tipo in tasca, invece che un buon libro sulla base del quale crescere mentalmente, confrontare le idee. Per molte ragazze prende sempre più importanza, corpo, motivazione, un futuro da velina piuttosto che un futuro fatto di sacrificati, ma formativi, studi universitari. Per trovare conferma a tutto ciò, non è necessario andar lontano con lo sguardo: basta scorrere i commenti, le osservazioni presenti nei vari social network (virtuali agorà che rappresentano il moderno specchio di questa società).
Il livello di autonomia intellettuale, di approccio critico distaccato di tale classe politica – giust’appunto per riflettere a briglia sciolta ancora un po’ – credo potrebbe essere sintetizzato dalle dichiarazioni, che lessi tempo fa da più parti in Rete (uno per tutti: http://www.termometropolitico.it/79805_il-kamikaze-razzi-berlusconi-pronto-buttarmi-treno.html ed il relativo video a http://www.youtube.com/watch?v=eI8z75LlWQo vedetelo, vi prego, è estremamente illuminante ...), di quello che in quei giorni era definito con sarcasmo: “il Kamikaze Razzi” (anche se, sinceramente, non ci vedo nulla di cui sorridere vista la deriva verso in cui si sta incamminando il Paese e per inciso, tra una risata e l’altra - che per mimica facciale ci costringe a tenere gli occhi socchiusi - direi di incominciare a tenerli aperti questi benedetti occhi …).
Il senatore del Pdl (ex Italia Dei Valori), ospite alla trasmissione di Radio2 “Un Giorno da Pecora” (mai titolo fu più adatto per una trasmissione) all'epoca pare abbia provato a spiegare, fra le varie cose, che per Berlusconi avrebbe fatto di tutto. Anche buttarsi sotto un treno (da qui, forse, l’inserimento nella gloriosa categoria nipponica dei kamikaze).
E pare abbia significativamente aggiunto: “Io non sono né falco e né colomba nel Pdl, sono solo di proprietà di Berlusconi…, quello che lui mi dice io faccio.. ”.
Per chiudere il caso, non si può non osservare che queste parole (dette da un senatore della Repubblica Italiana !) esprimono un modo di pensare di un rappresentante dello Stato, dal punto di vista dell'etica politica, estremamente singolare nei confronti del mandato ricevuto dall'elettorato (soggiungo che, da allora, la situazione generale non mi pare migliorata più di tanto). Concetti che, detto tra noi, uno statista di vecchio stampo (di quelli internazionali con la S maiuscola) probabilmente avrebbe provato imbarazzo non a dire, ma al solo pensare. Ma oggi, purtroppo, pare non sia più così, in politica si fa quasi a gara a chi la “spara” più grossa …
Detto ciò vi invito a riflettere che tutte queste situazioni, messe assieme, un po’ alla volta, lentamente, ma inesorabilmente stanno facendo morire questo paese.
Sì, signori: STANNO LETTERALMENTE FACENDO MORIRE QUESTO PAESE.
Se non si darà una decisa sterzata a questo andazzo, l’Italia si troverà tra qualche decennio - ed è un orizzonte che già si riesce ad intravedere in maniera preoccupante - ad essere popolata solo da vecchi (per endogena fisiologia, mentalmente e motivatamente appannati, stanchi) e da giovani ignoranti, gretti, intellettualmente spenti, essendo migrate altrove le “pedine” giovanili più pregiate della scacchiera dove si sta giocando la rilevante partita del Paese.
Questa nazione avrà alla fine, quindi, un tessuto sociale costituito da categorie sociali deboli, per antonomasia, poco competitive (vecchi fiaccati e giovani mal preparati). E sarà un tessuto sociale che diverrà preda, ancor più agevole, di una classe politica famelica, rapace a cui, ovviamente, fa troppo comodo avere sotto di sé persone senza alcuno spirito critico, non raziocinanti che possano mettere significativamente in discussione, in qualche modo, il suo operato ma soprattutto le sue dorate posizioni.
Un operato che, a questo punto, senza il freno critico e regolatore delle idee, della ragione, più in generale della cultura, diverrà sempre più sfrontato ed invadente e ci porterà all’autodistruzione.
Si addiverrà ad una platea sociale, alla fine di questo inesorabile processo, scollata, alla quale basterà semplicemente “dare in pasto” (molto banalmente, per tenerla buona nella pancia, sonnolente, “appaciata” come si usa dire dalle parti mie) un colorato e “sbrilluccicante” smartphone o tablet di ultima generazione su cui poter catalizzare tutte le attenzioni, su cui poter nervosamente “ticchettare” passando le giornate in alienante, solitario conformismo e nel più cupo, indecente e pauroso isolamento intellettuale.
Un telefonino (ma potrebbe essere un qualunque oggetto, come si dice: “di tendenza” che, in qualche modo, assorba l’attenzione della massa beota) da cui essere opportunisticamente distratti in modo da non vedere ciò che accade nel Paese, a due spanne dal proprio naso, lasciando in questo modo campo finalmente libero a chi porta avanti solo i propri interessi.
Una nazione in ultima istanza che, se guarda al futuro partendo da questi presupposti, se non aprirà finalmente gli occhi, se non metterà infine giudizio, è una nazione che risulterà irrimediabilmente sconfitta con la partita che si gioca con la Storia.

di Marco Iannelli

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