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Lo studio: utensile affilato per affrontare adeguatamente la vita

  • Writer: Marco Iannelli
    Marco Iannelli
  • Feb 10, 2016
  • 4 min read

Questo post l’ho scritto pensando alle mie figlie: due dolci, simpatiche ed impertinenti ragazzine, ancora agli studi, che non smettono di stupirmi.


L’ho scritto pensando a loro ed al momento in cui si troveranno ad affrontare le rispettive sfide lavorative. E quindi, per senso logico, spero, mi auguro, auspico che lo leggano attentamente traendone, perché no, qualche spicciolo di saggezza.


Nel corso del mio impegno universitario mi è capitato di valutare tantissimi ragazzi i quali, all’esito della loro preparazione (o quella che loro probabilmente ritenevano tale) si sono presentati dinnanzi alla cattedra dove, dall’altra parte, c’ero io.


Una sessione di esame universitario, al di là di ogni considerazione e banalizzazione, è sempre un qualcosa di molto interessante in quanto pone l’esaminatore su di un piano di osservazione privilegiato consentendogli di annotare, registrare (soggiungo, con impagabile valore aggiunto in termini emozionali) una serie di significativi comportamenti propri dei giovani d’oggi.


Nel concreto, alcuni di loro, apparentemente, sembra quasi che non abbiano consapevolezza dell'importanza della “liturgia” didattica di cui, in buona sostanza, sono protagonisti e delle ricadute future che quest’ultima può loro riservare.


Affrontano questo importantissimo percorso di valutazione del loro iter di studi con un senso di inerzia, di pigrizia, di intima incoscienza. Non tutti, certo, e testimonianza ne è l’assortimento dei voti finali che molto spesso spaziano dal 18 al 30.


Proprio per quei discenti, la cui preparazione (e conseguente valutazione finale) si assesta sui gradini più bassi, secondo me c’è da fare una riflessione particolare.


Costoro, all’atto in cui si presentano alla sessione di esame con una preparazione non eccelsa, ma ancor più, nel momento in cui compiono il cd. “giro di boa” dello specifico esame accettando un voto finale esiguo, commettono, secondo me, una leggerezza imperdonabile.


Il percorso finale di studi universitari, ma ritengo in linea astratta lo studio in sé, rappresenta in ultima istanza un vero e proprio "utensile" utile quanto prezioso per affrontare la propria vita dal punto di vista lavorativo.


Per intenderci, come quando bisogna intagliare un pezzo di legno per trarne fuori una scultura che abbia un senso estetico armonico ci si dota, per eseguire il lavoro a regola d’arte, dei più affilati scalpelli o ceselli, delle migliori bocciarde, raspe, gradine, allo stesso modo lo studente dovrebbe ritenere e costruire il suo percorso di studi universitario come uno strumento unico, finale, dotato di intrinseca perfezione ed efficacia per affrontare e modellare al meglio il complesso e variegato mercato del lavoro.


Banalizzando il concetto, uno studente non adeguatamente preparato, da punto di vista didattico, che si accontenta ed alla fine della fiera, credendosi più furbo degli altri, accetta con senso di colpevole coscienza una serie di votazioni basse per gli esami sostenuti, ottiene il risultato di conseguire un voto finale di laurea “stropicciato”, “appannato” che è specchio del suo livello di preparazione. Assume la medesima condotta di un individuo che si siede a tavola per pranzare e, scientemente, sceglie per affrontare il proprio pasto delle posate inadeguate, del tutto non funzionali.


Immaginate solo per un attimo, al colmo del paradosso, una persona che sedutosi a tavola per affrontare la prima pietanza costituita da un piatto di brodo scelga, come posata, non un funzionale cucchiaio, ma un’inadeguata forchetta. E poi, passando al secondo, connotato da una più che consistente bistecca (fotografate nel vostro immaginario solo un attimo la scena) utilizzi sempre la stessa forchetta che, peraltro, è stata individuata fra quelle più "sdentate" così come il coltello volutamente scelto, per pigrizia, incuria o incoscienza, fra quelli meno affilati, reso innocuo dal fatto di essere di foggia ormai vetusta.


Il risultato finale di tali inopportune scelte sarà quello di affrontare il pasto svantaggiato rispetto agli altri commensali, che avvedutamente avranno invece scelto, per se stessi, le migliori posate; con il rischio addirittura di non riuscire a completare il pranzo per l’inadeguatezza della posateria utilizzata.


Fuori da ogni banalizzazione, i giovani dovrebbero comprendere, e fare proprio all’unisono, il concetto che il traguardo della laurea non rappresenta l’arrivo, conseguito in qualche modo, di una travagliata ed inelegante gara podistica, ma viceversa dovrebbe costituire il punto di partenza, ben più importante, della gara stessa della vita. Metaforicamente, la bandiera a scacchi che viene sventolata dinnanzi a loro, all'atto in cui tagliano sudati il filo di seta, dovrebbe testimoniare non già l'arrivo, ma viceversa dovrebbe statuire il momento dell'effettiva partenza.


La dotazione di conoscenze, lo strumento del sapere formatosi sui banchi universitari dovrebbe essere un qualcosa di potente, di solido, di inattaccabile, di inossidabile.


Un qualcosa che incuta positiva soggezione e reverenza e che ci consenta di affrontare, da vincenti, il mercato del lavoro per piegarlo a nostro totale piacimento e vantaggio.


Ritornando al paradosso del pranzo, quindi un qualcosa che, alla fine, ci consenta di arrivare, per primi, all’acquisizione della migliore posateria incamerando, nel minor tempo possibile fra tutti i commensali presenti, le pietanze più gustose che ci passano davanti.


Ragazzi, sgombrate quindi il campo dai facili, ma altrettanto inutili successi (quelli che solo voi, con malcelata furbizia, ritenete a torto tali).


Alla fine, ciascun esame che conseguirete costituirà un prezioso utensile che metterete, poco alla volta, con fatica, nella vostra virtuale borsa degli attrezzi (e badate; sarà sempre e solo quella su cui potrete contare) e che avrete con voi ed userete poi per manutenere, al meglio, le sorti della vostra vita.


Siate intelligenti, ma più di ogni altra cosa siate concreti: fate in modo di avere, a completamento dell’iter di formazione, una “cassetta dei ferri” (come spesso dice, con indiscusso senso di efficacia e praticità, il mio idraulico) dotata figurativamente delle migliori pinze, delle migliori chiavi inglesi, completa di ogni più particolareggiata minuteria e dotazione che, con l’incedere ingeneroso quanto inesorabile del tempo, sul più bello, non vi abbandoni per consunzione facendovi perdere importanti opportunità di lavoro.



di Marco Iannelli







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