Lettera ad un figlio che va via
- Marco Iannelli
- Feb 8, 2016
- 4 min read

Mia figlia Piera ha 15 anni e, forse, è un po' presto per pensare alla sua sistemazione lavorativa.
Ciò non di meno, riflettendo su tutti quei giovani che per trovare una qualche forma di lavoro sono costretti oggigiorno ad "emigrare" all'estero, un po' per mettermi nei panni dei loro genitori, ed un po' per solidarietà genitoriale, provo a cimentarmi nell'esercizio di scrivere una ipotetica lettera a mia figlia come se fosse in età da dover andar via un po' come fanno loro.
Vediamo cosa viene fuori ...
"Cara Piera,
stamane quando ti ho accompagnato alla stazione per prendere il treno per Monaco, dove dovrai andare a stare per un po' per provare a trovare un lavoro dignitoso, nel momento in cui mi sono trovato davanti alla biglietteria per pagarti il biglietto ho provato un senso di fastidio.
Sì, proprio così, di fastidio.
L'idea di dover sborsare la somma di qualche centinaio di euro per il biglietto mi è pesata molto.
Nei giorni scorsi, ne ho parlato a lungo con la mamma di questo aspetto ed anche lei, inizialmente, non comprendeva come mai, dopo aver speso decine di migliaia di euro per formarti a livello universitario, ora mi stessi formalizzando su pochi miseri euro.
Si è tranquillizzata (per modo di dire) solo quando ha compreso che non ero divenuto taccagno in vecchiaia, e che la mia riluttanza a sborsare tale insignificante somma era dettata dal fatto che emotivamente sentivo di contribuire, pur con questo esiguo sforzo economico, ad allontanare personalmente mia figlia dalla mia vita, dal mio quotidiano.
Per comprendere il mio stato d'animo le ho spiegato che mi sentivo un pò come il parente del condannato a morte a cui lo Stato, alla fine della esecuzione, addebita pure il costo della pallottola usata da carnefice per uccidere la persona a lui cara.
Compio, quindi, questa liturgia di accompagnarti al treno con un profondo senso di mestizia e di personale imbarazzo. Imbarazzo per non essere riuscito in questi anni, per non essere stato capace (così come tanti altri genitori di ragazzi italiani), di cambiare questo malsano ed innaturale andazzo delle cose che attanaglia da decenni questo Paese.
Vivo con profonda ingiustizia questa cosa. E' per me intollerabile pensare che dopo aver fatto tanti sacrifici economici come genitore, ma soprattutto come cittadino, la tua maturità, sia umana che lavorativa, debba essere appannaggio di un altro Stato, di un altro popolo a te, a noi tutti, estraneo.
Sarà duro, nei prossimi giorni, conciliare queste intime sensazioni con il senso di mancanza, di impotenza, di frustrazione che sono certo mi assalirà di qui a poco.
Mentre completo l'acquisto del tuo biglietto, leggo poi nei tuoi occhi - ora che sei a qualche passo distaccata da me mentre attendi, fuori della fila (quasi a prendere le distanze da questa triste, ma necessaria incombenza) e con ai piedi una valigia che ha visto viaggi migliori - un disagio per un qualcosa che sei costretta a compiere, a vivere, tuo malgrado, ed a cui ti sto accompagnando per mano paradossalmente proprio io.
Sono di spalle, rivolto alla biglietteria, eppure avverto tutto il peso del tuo sguardo critico rivolto ad un papà verso cui nutri, all'unisono, amore e riconoscenza in uno a biasimo ed insofferenza per ciò che, di meglio, non è riuscito a determinare nella tua vita. Ed è forse proprio per questo che, avendo completato l'operazione, mi continuo ingiustificatamente ad attardare a verificare il resto ricevuto e l'esattezza dei dati riportati sul biglietto quasi avessi il timore, girarndomi indietro, di incrociare tutto il peso della mestizia del tuo sguardo.
Guardandoci ancora un attimo, i nostri occhi, pur senza alcun apparente conforto, trovano una qualche interpretazione comune di questa situazione.
L'Italia, quello che sempre più abbiamo difficoltà a definire il nostro Paese (ci piacerebbe continuare a scriverlo con la P maiuscola ed a sentirlo con orgoglio nostro) è divenuto un luogo inospitale per i giovani preparati che ambiscono ad un futuro fatto di cose normali. Un lavoro, una carriera, una casa, una famiglia, delle prospettive, sono tutti aspetti, tutte esigenze che non trovano più cittadinanza in questo Paese; almeno non per tutti.
Un Paese che dopo aver formato i giovani migliori li lascia andar via con siffatta facilità è un Paese che cannibalizza il suo stesso futuro, è un Paese che affida le sue prospettive ai vecchi e, quindi, al suo passato.
E' un Paese destinato, di qui a poco, a morire in quanto ha irresponsabilmente deciso di recidere le radici migliori che attingono alla linfa vitale.
Tempo non ne abbiamo molto ora e quindi siamo a guardarci in silenzio. Ed è un silenzio spesso, opaco, plumbeo, carico di significati; una assenza di parole che purtroppo vale più di mille discorsi.
Ho vissuto, in queste ore, tante volte il momento in cui la porta del treno si chiuderà spezzando questa catena di interminabili imbarazzi. L'ho provate e riprovate nel mio intimo queste sensazioni quasi volessi allenarmi per essere pronto per questa triste messa in scena finale, per non rischiare, alla fine, pure di sfigurare ulteriormente ai tuoi occhi.
Come sempre accade il tempo non lo puoi circoscrivere, limitare, ed il momento fatidico alla fine viene comunque.
Ti stringo a me in questi ultimi attimi prima che vada via.
Nel consegnarti solo all'ultimo istante nelle mani il biglietto, quasi nella speranza che una ineludibile svolta risolutiva fosse ancora in qualche modo possibile, mi allontano da te e definitivamente da questo Paese che, ora più che mai, sento non appartenermi più.
Dal tuo papà"

di Marco Iannelli

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